29 febbraio 2012

Una torta che praticamente non è una torta ma cioccolato cotto

La pubblicità ha su di me una presa incredibile. Mi capita spesso di guardare uno spot in tv e poi dovermi trattenere dall'uscire immediatamente a comprare il prodotto reclamizzato. Non ho preferenze: può succedermi con i detersivi tanto quanto con la pasta sfoglia, per dire. Gran parte del lavoro lo fa il confezionamento della pubblicità stessa: se lo spot è intelligente, divertente, se ha un'intuizione, allora è fatta, sono totalmente lobotomizzata. Non escludo, prima o poi, di tornare a casa con un'automobile giapponese o una cera per il parquet (che non ho, per inciso).
Tutto ciò per dire che a volte mi basta vedere una foto per scatenarmi voglie implacabili, cosa che mi è successa ieri: ho visto l'immagine di una torta al cioccolato fatta da Giulia e subito mi si è scatenato il desiderio insaziabile di averla. E l'ho fatta. E vi dò anche la ricetta, così, tanto per.
Non ricordo più dove l'ho presa, forse me l'aveva suggerita la mia amica Cecilia tanto tanto tempo fa, quando si producevano torte ipercaloriche come se non ci fosse un futuro. Comunque, è una ricetta collaudata e se vi piace il cioccolato fondente e se vi piace che il suddetto cioccolato fondete vi si sciolga in bocca e se vi piace quella consistenza un pò da cioccolato cotto, insomma, se vi piace questa torta, fatela e mangiatevela tutta senza pensarci su!

Ingredienti
200 gr cioccolato fondente (70% almeno)
200 gr di zucchero semolato
150 gr di burro
4 uova

Preparazione
Allora, prima di tutto accendete il forno a 200 gradi circa.
Poi prendete una teglia di circa 20-21 cm e imburratela e infarinatela se volete, oppure rivestitela di carta da forno. Io suggerirei questa seconda opzione perchè poi è più facile tirar fuori il dolce una volta freddato, senza spappolarlo troppo.
Separate i tuorli dagli albumi, montate gli albumi a neve e sbattete i tuorli con lo zucchero. Sciogliete il burro e il cioccolato (o a bagno maria o nel microonde come ho fatto io, anche tutto insieme se volete, non è fondamentale separarli) e unite il tutto ai tuorli. Poi aggiungete gli albumi montati a neve, versate e infornate per una ventina di minuti. La torta all'interno rimarrà sempre morbida, quindi non basatevi sul trucco dello stecchino per controllare la cottura, ma aspettate che si formi una bella crosticina solida all'esterno e poi vedete voi in base al vostro forno se prolungare o no la cottura per qualche altro minuto.
Servita con un ciuffetto di panna montata è la morte sua. E anche della dieta, ma insomma, bisogna pur togliersi qualche soddisfazione ogni tanto, no?!

26 febbraio 2012

Il finger food e digressioni varie ed eventuali

Parlando di Venezia (si, ci sto ancora pensando, lo ammetto) qui ho dovuto contenermi. Se non lo avessi fatto sarei ancora qui a scrivere  e oltre ad un irreversibile calo della vista, ora avrei dei grossi calli sulle dita e una costosa bolletta della luce da pagare (ma quella comunque, però è un altro discorso). Sono una a cui piace documentarsi, quando va in un posto. Prima della partenza prendo libri, guide turistiche e navigo su internet come nemmeno Marco Polo faceva sul mare (e anche qui, come non pensare al binomio Marco Polo-Venezia ed iniziare a raccontare e raccontare...Fermatemi, vi prego). Tutto ciò per dire che si, se lo volessi, avrei mille e mille cose da raccontare su quella città che tanto amo e che scorre nelle mie vene come l'acqua nei canali (e non escludo di farlo, ma magari dilazionando nel tempo i discorsi). Ma mi dò subitaneamente una regolata, mi auto impongo limiti e arrivo infine al punto: il finger food. Ora, mi direte voi, che cosa c'entra il finger food con Venezia? C'entra eccome. Mò vi spiego.

Il finger food è, letteralmente, il cibo mangiato con le mani. E perchè il cibo possa essere mangiato con le dita è necessario che tutto sia piccolo, monoporzione, facile da afferrare e infilare in bocca e poi via verso le papille gustative. Semplice, immediato, buono. Sono esempi di finger food i salatini, le olive all'ascolana, le mozzarelline e tante altre cose, tra cui quei bellissimi bicchierini di mousse e leccornie varie che si servono di solito ai party o ai matrimoni.
Ora, chi sia stato almeno una volta a Venezia lo sa: i posti dove mangiare bene, spendendo poco e soprattutto dove trovare le cose tipiche della cucina veneziana (un mix di terra e mare proprio com'è la città), sono i Bacari. E cosa sono i Bacari se non il primo esempio di finger food? Panini minuscoli, polpettine di carne, di pesce, di verdure, patatine in tutte le forme, olive verdi e nere, frittelline, funghetti ripieni, pescetti fritti, mozzarelline, crocchette, alette di pollo, gamberetti...L'elenco delle cose che si possono gustare in uno di questi chioschetti (perchè di solito sono negozi piccolissimi) è infinito, come è infinito il gaudio che prova il palato nell'ingurgitare tutta questa varietà di cose, magari accompagnate da un bel Bellini ghiacciato o da uno Spritz.
Ecco, sull'onda della mia incredibile mancanza di Venezia, mi è venuta voglia di fare un pò di finger food, giusto così, per far finta che...Che se mi affacciassi alla finestra invece della strada vedrei acqua e sentirei qualche gondoliere gridare "Ocio!" alla svolta...

Le cose che ho preparato sono facili facili. Mi vergogno quasi a dilungarmi sul "come ho fatto" perchè basta guardare le foto per capire. Ma magari queste mie piccole idee potranno servirvi da spunto per altri piatti finger food, c'è l'imbarazzo della scelta!
Ho preparato dei salatini ai wurstel con la pasta sfoglia: basta arrotolarla intorno ai wustel lunghi, tagliarli poi della misura desiderata, spennellarli con l'uovo sbattuto e via nel forno fino a che non diventano dorati.
Poi ho preparato, con l'avanzo della pasta sfoglia, dei grissini leggeri: basta creare una sorta di spirale con le striscioline di pasta a disposizione, salare, pennellare e infornare.
Infine ho preparato dei sacchettini di frittata alla valdostana. Ho sbattuto qualche uovo con un goccio di latte e un pizzico di sale ed ho fatto tante frittatine quante ne avevo bisogno. Poi le ho riempite nel centro con una fettina di prosciutto e della fontina e le ho chiuse con il filo da cucina. Ho infornato i fagottini giusto il tempo di far sciogliere il formaggio all'interno.
Che ne dite? Facili facili, come ho detto, ma a volte una bella presentazione fa sembrare tutto ottimo!

22 febbraio 2012

Sei ore cala, sei ore cresce

Questa mattina mi sono svegliata con un'insostenibile senso di mancanza. Appena ho aperto gli occhi era lì, in agguato come un avvoltoio nel deserto: forte, pungente e pesante. Ci ho messo un pò a capire che quel vuoto che sentivo, quell'assenza che avvertivo non era di una persona, nè di una cosa, ma di un luogo.
Questa mattina mi sono svegliata sentendo la mancanza di Venezia.
E' una cosa che mi succede spesso e c'è poco che io possa fare in proposito. L'unica soluzione sarebbe salire su un treno e andare. Perchè quello che mi lega a Venezia è, molto semplicemente, un richiamo del sangue, il mio, che si ripresenta a periodi, che mi attrae come una calamita. I miei nonni paterni erano di San Stino di Livenza, piccolo centro abitato posto sulle rive del fiume Livenza, appunto, a poco più di cinquanta chilometri dal suo capoluogo di provincia, Venezia. Ho capito con il tempo che quella città ha su di me lo stesso effetto della Luna sulla marea: sei ore cala e sei ore cresce. Non si scappa. E se ci sono periodi in cui dentro di me una vocina sussurra:"bhè, no, dai, non ci vado più", il sangue poi chiama e mi smentisce, mi fa capire che si, le radici sono forti e profonde.
Ma c'è di più. Io non ho girato il Mondo, questo no. Sono stata in alcuni Paesi, ho visto bellissime città, in un paio di esse ho lasciato il cuore (Berlino, sopra tutte), ma solo a Venezia ho lasciato l'anima. O meglio, la parte della mia anima che è più leggera, priva di pesi, pensieri, angosce e paure. Perchè Venezia è l'unico posto in cui io mi sento in pace con me stessa. Durante il mio secondo soggiorno, ho girato tutta la città a piedi. Tutta. Ho poi controllato sulla cartina. Ho fatto come Forrest Gump quando decide di andare a correre un pò: ogni volta che arrivavo al mare e dovevo per forza fermarmi perchè la terra (se poi di terra si può parlare, a Venezia) finiva lì, mi voltavo e ricominciavo a camminare. Così ho scoperto angoli di città in cui i turisti non vanno, per fortuna mia e di Venezia stessa. Alla fine avevo le gambe a pezzi, i piedi somigliavano a due frittelle ed ero incredibilmente, totalmente felice. Perchè non c'era stato un angolo brutto o una calle che non mi avesse lasciato qualcosa. Venezia è intrisa di immaginario. Non c'è frammento di palazzo che non sia stato ritratto in qualche film o in qualche romanzo. E' un continuo fotografare, cercare di catturare bellezze e particolarità. Penso che sia grosso modo quello che succede con New York, altra città completamente regalata alla visione cinematografica. E quando smetti di camminare, ti fermi a pensare, senti su di te il peso (ma non pensante, un peso leggero) della storia, della cultura, della tradizione, del teatro, del cinema, del passato e del presente. Senti di aver fatto qualcosa.
E' un concetto che non so spiegare bene, perchè si basa su sensazioni e sentimenti. Credo solo che ognuno di noi abbia un suo posto, un posto in cui si sente a casa. Per me quel posto è Venezia.
Henry James ha scritto che Venezia è come un interno, un appartamento fatto di corridoi e salotti: si cammina sempre dentro, non si è mai veramente fuori, non esiste l'esterno nemmeno per strada.
Dicono che sia proprio per questo che le maschere sono così diffuse in città: perchè in tutta questa intimità forzata, i veneziani hanno sentito la necessità di nascondersi dietro qualcosa, di crearsi un paravento per celarsi quando è necessario.
Infine non posso tralasciare uno degli aspetti che più mi fanno amare questa città originalissima: non ci sono le auto. Quando sono tornata a Torino, ho fatto un piccolo elenco di tutte le cose che non mi mancavano mentre ero a Venezia: erano tante, la maggior parte collegate all'assenza del suddetto mezzo di trasporto. Perchè senza auto vengono a mancare una serie di cose fastidiose come i clacson, i semafori (e la conseguente attesa del verde per attraversare), le striscie pedonali, gli antifurti, il rumore dei motori e l'odore dei gas di scarico.  Non ci sono nemmeno quelli che vanno in bicicletta sul marciapiede, sotto i portici, gli scooter che ti sfrecciano accanto senza curarsi di te, non ci sono mille venditori ambulanti che cercano di venderti fazzoletti e accendini...Insomma, questo elenco forzatamente ristretto è un modo (uno in più, anzi) di farvi capire perchè stamattina mi sono svegliata sentendo la mancanza di Venezia. E, per chi volesse saperlo: no, non credo che mi passerà.


21 febbraio 2012

Intervallo!

Dato che ho avuto l'influenza e quindi non ho più nè fatto nè cucinato niente, vi metto una foto (fatta oggi per dare il benvenuto a Darth!)...Giusto per farvi sapere che sono viva e presto tornerò!

Non ho sentito grida di gioia, o sbaglio?

14 febbraio 2012

E poi San Valentino arriva e...


... io ho l'influenza intestinale e zero tempo per spesa e cucina e lui ha l'influenza (ma quella normale). Quindi immaginate pure il nostro San Valentino (ma tralasciate i particolari, che potrebbero anche farvi inorridire vista la mia patologia): io con tre maglie addosso, la pancia incredibilmente piatta (unica nota positiva) e zero possibilità di trangugiare quello che voglio, lui bianco e smunto con nessun desiderio di cibo. Eccoci qui, la coppia perfetta.
Ma prima che le forze gli venissero meno, la mia dolce ( e mai aggettivo fu più azzeccato) metà mi ha fatto dono della bellissima rosa rossa che vedete nella foto. E per me non è banale, perchè non ricevo fiori molto spesso. Credo che in quindici anni di vita in comune me ne abbia regalate due o tre, non di più. Lui sa che non amo che si spendano soldi in cose che non restano, ma sa anche che amo essere stupita e ricevere un fiore, per me, è qualcosa di stupendo (sia nel senso di bello, sia nel senso che provoca stupore). In cambio lui ha ricevuto da me un meraviglioso uovo kinder (comprato andando in farmacia). E a chi pensa che sia poca cosa vorrei far notare che dentro ci ha trovato un Barbapapà, quindi... Il nostro San Valentino è perfetto.

12 febbraio 2012

Pronti per San Valentino?


Ci siamo quasi. I negozi sono pieni di cuori e cuoricini di varie dimensioni e colori, tutto è un tripudio di amore e buoni sentimenti, nemmeno fossimo a Natale! E voi, siete pronti per San Valentino? Lasciamo da parte per un attimo il risvolto biecamente commerciale di questa festa. Tralasciamo anche il vero significato della ricorrenza (che potrete trovare ampiamente spiegata su wikipedia) e pensiamo soltanto a quello che tutti noi vogliamo che sia San Valentino: la festa degli innamorati. Un'occasione per chi si ama, appunto, di... No, non riesco a trattenermi. La prima cosa che mi verrebbe da dire per continuare la frase sarebbe "di spendere soldi in pessimo cibo e fiori che dopo due giorni finiscono nella spazzatura". Ecco, no. Perchè se lo vogliamo, San Valentino può essere anche una cosa semplice, che non contempli per forza una spesa economica irragionevole, che non costringa (tipo pistola puntata alla tempia) nessuno a fare niente, ma che le cose si facciano con piacere e leggerezza. Perchè la prima cosa a San Valentino è stare insieme.
Quindi, la domanda sorge spontanea: cosa farò io per San Valentino? (La risposta echissenefrega sorgerebbe ancora più spontanea, ma, vi prego, soprassediamo)
Premettiamo un paio di cose. Io ho lo stesso compagno da quindici anni. Quando eravamo ragazzini e ai primi passi del nostro rapporto, festeggiavamo con bigliettini cuoricinosi al limite del diabete, dove lo zucchero scorreva a fiumi che sfociavano in mari di miele. Ma poi con il tempo le cose si cementano, diventano forti, lasciano il posto alla consapevolezza, al non aver bisogno di. Negli ultimi anni non abbiamo più festeggiato questo giorno, perchè ci ricorda il compleanno di qualcuno che non c'è più. Ma piano piano abbiamo capito che c'è modo e modo di festeggiare e che certo questo qualcuno non vorrebbe vederci tristi e ritirati mentre il resto del mondo accoppiato si lancia nei più sfrenati bagordi. E' necessaria quindi moderazione e moderazione, per me, vuol dire cucinare qualcosa di speciale per lui.
Avevo già preparato i frollini a forma di cuore (li trovi cliccando qui), prototipo di altre preparazioni e, sull'onda del recente acquisto dei tagliapasta a forma di cuore, ho preparato anche delle bellissime polentine a forma di cuore (che ho cosparso di abbondante fonduta), che vedete nella foto (non ho fatto un post in merito perchè non sono riuscita a fotografare il risultato finale prima che il mio lui se le mangiasse!).
Ora, come sempre dico, affidatevi anche alle generose, geniali, brillanti (e abbondiamo sempre con i complimenti s'il vous plait!) mani di Giulia, che dedica non una, non due, ma giorni e giorni di ricette appositamente dedicate al San Valentino. E dopo aver visto quello che prepara lei di certo non tornerete qui, ma: lo capisco e lo accetto.
Resta da dire che ho molte idee su cosa preparare tra due giorni e siccome non sono così previdente dal preparare tutto prima per poterlo fotografare e postarlo qui...Semplicemente vi dirò cosa cucinerò. Poi le foto magari dopo. E anche le ricette, se mai ve ne saranno data la mia irrazionalità totale in cucina.


Il mio menù (almeno credo):
Tartine a forma di cuore con patè di prosciutto cotto e ricotta fresca.
Sfogliatine a forma di cuore con prosciutto crudo.
Cuoricini di cous cous con pomodoro fresco.
Cuoricini di pasta fresca al ragù di verdure.
Involtini di manzo alla pizzaiola.
Tortini dal cuore fondente.

Come prevede l'etichetta è un menù a forma di cuore. Che ne dite? Riuscirò a fare tutto? E chi lo sa? Bhè, io ci provo, perchè a volte anche provare è un gesto d'amore.

9 febbraio 2012

I frollini ripieni di ricordi

Quando ero piccola mia mamma preparava sempre delle merende favolose per me e mio  fratello. In tempi non sospetti produceva infornate ed infornate di muffin al cioccolato, costruendo da sè gli stampini (che allora non c'erano) con la carta stagnola e la forma di un bicchiere. Ce ne dava uno ciascuno da portare a scuola per l'intervallo e noi facevamo invidia ai nostri compagni che avevano la merenda a base di brioches confezionate. E poi ci faceva la spremuta d'arancia. La metteva nelle bottigliette di vetro vuote dei succhi di frutta e con una macchinetta apposita sigillava il tappo di metallo. Perchè sennò la spremuta si ossida, diceva.
E poi faceva i biscotti. Ne sfornava quantità industriali, preparati in tanti modi diversi. I miei preferiti erano quelli che sapevano di limone ed avevano l'uovo sbattuto sopra che li rendeva lucidi e lisci. Ricordo che non riuscivo mai ad aspettare che si fossero freddati, non resistivo alla tentazione di prenderne uno dalla teglia, anche a costo di procurarmi una scottatura, e mangiarlo ad occhi chiusi. Sapevano di burro, di zucchero e di felicità.

Io non avevo mai fatto i biscotti, prima di oggi. Avevo quello che può benissimo essere definito "panico da prestazione". Pensavo "e se poi non mi vengono?". Ma grazie alle ultime esperienze culinarie ho scrollato da me il pensiero del fallimento imminente (lo confesso, perchè mal che vada le cose che non vengono bene le mangio io)e mi sono lanciata.
C'è da dire che l'esperienza è stata faticosa. Non possedendo un piano da lavoro in cucina ed avendo oltretutto uno di quegli orribili tavoli in formica (cose che non ho voluto io, ma la padrona di casa) su cui si attaccherebbe anche un panetto di burro, ecco, non è stato semplice stendere l'impasto. Ma al grido di "celapossiamofarcela" e con l'aiuto di una discreta quantità di farina, ce l'ho fatta.



Ora, a questo punto una blogger che si rispetti dovrebbe allegare relativa ricetta e descrivere nei minimi dettagli il procedimento seguito per sfornare una montagna di frollini innamorati. Si, in effetti dovrei. Perchè non credo che la gente si accontenti di guardare le foto, quando si tratta di cibo. Il problema però è che io non ho seguito alcuna ricetta. O meglio, l'avrei seguita, se solo mi fossi ricordata le dosi che avevo letto cinque minuti prima nel web. C'era solo una voce a condurmi nel buio totale della mia completa ignoranza in materia: 125 grammi di burro. Era tutto ciò che ricordavo di quello che avevo letto. E forse un uovo. E forse ci andava lo zucchero... Insomma, ecco, è iniziata così la mia avventura con i biscotti. Partendo da quella dose enorme di burro, ho poi aggiunto un uovo, zucchero (circa 100 grammi) e tanta farina quanta ne è occorsa per far diventare l'impasto compatto e non troppo molliccio. Non avevo limoni in casa, non avevo vaniglia in casa, ergo: non ci ho messo altro. Ah, si, tre cucchiaini di lievito chimico. Me lo stavo dimenticando (non solo adesso, ma anche mentre facevo i biscotti!).
Ora vi chiederete: ma come sono venuti? Buoni. E ne sono felice. Perchè appena ne ho assaggiato uno mi è venuto spontaneo chiudere gli occhi e per un attimo mi sono sentita di nuovo bambina e felice.



7 febbraio 2012

Rotondità croccanti

Comprare un pacchetto da mezzo chilo di orzo vuol dire avere a disposizione la base per tanti esperimenti. Dopo aver fatto l'orzo con pancetta, pomodorini e cipolla rossa (trovate la ricetta cliccando qui) e un'altra versione condita con peperoni rossi e gialli e carotine, oggi ho cucinato una sfiziosità adatta per il finger food: le crocchette di orzo e spezie.

Il procedimento per queste pallette è davvero semplice e non molto dissimile da quello che si segue per le tradizionali polpette di carne.
Prima di tutto ho lessato l'orzo, facendolo cuocere circa 30 minuti (ma è preferibile abbondare con i tempi, perchè per le polpette è meglio avere un impasto morbido). Poi ho messo nel tritatutto (uh mamma, come lo chiamano i veri chef? Robot da cucina? Direi che per il mio piccolo macinino vinto con i punti della Barilla vent'anni fa non si può certo usare questo termine, ma mi sono spiegata,no? O forse no. Vabbè...), dicevo: ho messo nel tritatutto un pò di sale grosso, del timo, del rosmarino, dell'erba cipollina e qualche grissino. Ho frullato tutto e una volta scolato e lasciato raffreddare un pò l'orzo ho unito le due cose. Dopodichè ho aggiunto due uova, pangrattato e un pò di farina di mais per polenta, che oltre a rendere le polpette più croccanti, dona loro anche un bel colore giallo.
Ho coperto una teglia con carta da forno ed ho posizionato le polpettine, facendole cuocere a 180 gradi circa fino a che non sono diventate belle dorate in superficie, ricordando di girarle di tanto in tanto per una cottura uniforme.

Sono ottime da mangiare come antipasto, magari accompagnate da cibi che richiamino la loro forma: olive ascolane, mozzarelline fritte e arancini. Dato che rimangono piuttosto asciutte, così come le ho cucinate io (ma perchè personalmente adoro la consistenza delle polpette che causano una leggera ostruzione del sistema digestivo), si può aggiungere del parmigiano nell'impasto, oppure accompagnarle con una leggera fonduta dei nostri formaggi preferiti. O, ancora, si può preparare l'hummus.

Che cos'è l'hummus? Una cosa semplice semplice, che però a me piace tantissimo. L'hummus  è una salsa a base di pasta di ceci e pasta di semi di sesamo aromatizzata con olio di oliva, aglio, succo di limone e paprica, semi di cumino in polvere e prezzemolo finemente tritato.
È molto diffuso in tutti i paesi arabi, è ormai un classico anche nella cucina israeliana, e la sua origine si perde nell'antichità. Viene solitamente consumato insieme a focacce di pane azzimo, oppure nella cucina mediterranea può essere utilizzato come salsa per verdure crude (carote, sedano, finocchio) in piacevole alternativa al classico pinzimonio.
E se non abbiamo a portata di mano pane azzimo, verdure o crocchette di orzo come in questo caso, basta prendere una semplice piadina e scaldarla in modo da renderla bella croccante, per poi spalmarci su hummus a volontà.

Il mio modo di fare l'hummus è una scorciatoia rispetto alla ricetta tradizionale. I ceci mi piacciono da matti e ne tengo sempre una scatola in casa, di quelli già lessati e pronti all'uso. Quello che faccio io è, banalmente, frullare i ceci lessati con un pò d'olio d'oliva, sale e pepe nero e servire. Così si sente tutto il sapore del legume senza troppi artifici ed è facile da propinare anche ai palati più diffidenti.





5 febbraio 2012

Rotolo al cacao con panna montata

Ve lo devo dire: sono fiera di me. Sarà la terza volta che mi capita in vita mia e non credo che vi prema particolarmente sapere quali sono state le altre due. Ma non resisto alla tentazione di dirvelo quindi si: la prima volta che sono stata fiera in vita mia è stato quando ho vinto un premio per un tema che avevo fatto (ed il premio era un viaggio a Strasburgo). La seconda volta è stata quando sono riuscita a suonare l'assolo di "The man who sold the word" con la chitarra elettrica. Esperienze fondamentali nella vita di ciascuno, noterete bene, ma andiamo oltre. Questa volta sono fiera di me stessa per un dolce che ho fatto. Ne ho fatti tanti. Fare torte super iper caloriche allieta me e i dietologi di mezza Torino, ma mai e dico mai sono stata pienamente soddisfatta del risultato come questa volta. Perchè il rotolo al cacao con panna montata era di una bontà stratosferica.
Volete la ricetta? E io ve la dò volentieri! Allora, devo dire che la preparazione è semplicissima (sarà per quello che mi è venuto bene? Inizio a nutrire dubbi sulle mie capacità. Ma quello in effetti lo faccio sempre), l'unica cosa da tenere sotto controllo è la cottura e il dopo cottura, che dopo vi spiego. Allora, ingredienti: 1 cucchiaio di acqua, 25 gr di cacao amaro in polvere, 35 gr di farina, 10 gr di miele, 4 uova medie, 80 gr di zucchero e una bustina di vanillina. Preparazione: (Prima di tutto accendete il forno a 220 gradi) separate i tuorli dagli albumi; sbattete i tuorli con il miele, l'acqua, la vanillina e 30 gr di zucchero. Montate a neve gli albumi con il restante zucchero, ma attenzione, non dovete montarli troppo fermi, altrimenti quando poi andrete a mischiarli con il resto del composto potrebbero formarsi dei grumi. Unite poi i due composti con molta cura, mescolando dal basso verso l'alto per non smontare gli albumi. Aggiungete poi la farina ed il cacao setacciati, ma poco per volta, altrimenti il peso "schiaccia" gli albumi. Prendete una placca da forno e foderatela con la carta. Versate il composto sulla placca distribuendolo bene e facendo uno spessore omogeneo di circa 1 cm. Infornate per 6-7 minuti (dipende dal vostro forno, ma non fatelo cuocere troppo altrimenti diventa secco). Ora, il più è fatto e mentre vi rilassate un attimo pensando "ok, ho fatto il dolce", pensate che il peggio deve ancora venire. Bisogna essere rapidi e sistematici. Perchè: appena tirate fuori lo strato tortoso (chiamarlo rotolo non è il caso, visto che per il momento non ne ha minimamente l'aspetto) dovete toglierlo subito dalla placca del forno e adagiarlo su un piano. Poi lo cospargete di zucchero semolato sulla superficie, per evitare che si attacchi, e dopo lo avvolgete per benino nella pellicola da cucina, che servirà a fargli mantenere l'umidità necessaria a impedirgli di asciugarsi. Fatto? Ora lasciatelo raffreddare e nel frattempo pensate alla crema per farcirlo.                                                                   
Io ho usato una classicissima panna montata, ma al posto dello zucchero semolato ho usato quello a velo per montarla, così le ha dato un gusto in più, una specie di crema chantilly. Ho visto che in rete ci sono tantissime ricette per altrettante varianti di creme, quindi potete seguire un pò il vostro gusto o magari optare per della marmellata, della Nutella o una ganache. Comunque, una volta montata la panna e raffreddato il rotolo, ho cosparso la superficie di panna avanzandone un pò per la guarnizione ed ho arrotolato il rotolo aiutandomi con la pellicola in cui era contenuto. Una volta assunta la forma dovuta, ho richiuso la pellicola ed ho lasciato riposare in frigo per un'oretta. Poi ho guarnito con la restante panna e tagliato i due estremi del rotolo, in modo da far vedere il ripieno. Infine, per i più abili in cucina, si potrebbero fare decori a non finire con la pasta di zucchero e i coloranti alimentari, ma a me piace anche così: semplice e soffice... ma soprattutto buono!


4 febbraio 2012

Black and white (Torino sotto la neve)






Sfogliatine di mele e cipolle


Cosa vi avevo detto? Giulia mi ispira e mi fa venire voglia di cimentarmi in nuove ricette. Come questa. Il post della ricetta originale lo trovate qui. Io ho apportato due piccole modifiche: ho usato la pasta sfoglia invece della brisè (questione di praticità: in casa c'era quella!) e le cipolle rosse invece di quelle bianche consigliate da Gi. Il risultato è stato davvero sorprendente: deliziosa! E se lo dico io che di solito critico quello che faccio, bhè, no, stavolta posso andarne fiera!


Mi fa ridere la cosa (e vi sprono comunque a seguire la ricetta di Giulia) ma vi dirò come ho fatto, giusto per rendere questo post un pochino più lungo, altrimenti cosa lo tengo a fare un blog se non per annoiare mortalmente i malcapitati che lo leggono?!
Dunque, ho tagliato le cipolle fini fini e le mele altrettanto. Ho steso la pasta sfoglia e l'ho tagliata a metà (era rettangolare e piuttosto grande). Ho bucherellato la pasta sfoglia per farla cuocere meglio e vi ho adagiato uno strato di cipolle, uno strato di mele ed uno strato di cipolle. Ho aggiustato di sale e pepe, un giro di olio ed ho richiuso i due fagottini che sono venuti data l'ampiezza della sfoglia. Ho spennellato la superficie con uovo sbattuto ed ho infornato a 180 gradi per circa venti minuti. E poi ho mangiato. Ed ero felice.