19 marzo 2012

Un paese ci vuole

Cesare Pavese diceva: "Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti". Da tempo ormai ho fatto mia questa citazione: la sento aderire perfettamente alla mia pelle, come un vestito attillato, qualcosa che è cresciuto insieme al mio corpo. La vita mi ha portata lontana (ma non troppo) dalle mie colline, dai boschi nei quali giocavo da bambina, dai luoghi che mi hanno vista talvolta spensierata, talvolta felice, talvolta malinconica, talvolta inquieta. E quando torno al paese qualcosa mi assale: un bisogno di ricordo, di comprensione di me, che nasce e muore qui, nello spazio di poche ore e pochi luoghi. Nei cassetti ci sono fotografie e lettere ammucchiate nel tempo. Biglietti e cartoline di persone e vite che non ho più incontrato, ma che mi hanno modificata, resa quella che sono. C'è il lento passare degli anni, impietoso e metodico. Ci sono io, passo dopo passo, c'è una parte di me. Guardo quelle istantanee ingiallite. Mi guardo guardare l'obbiettivo della macchina fotografica e mi domando: "Chi ero? A cosa pensavo? Perchè ho desiderato, all'improvviso, di fuggire e da cosa?". Sorrido di un sorriso perso nel tempo, il sorriso che abbiamo tutti, quando ancora la vita non ci ha sbattuto mille colpi in faccia. E' rassicurante, in un certo senso: sapere che c'è stato un momento così, in cui niente sembrava troppo pericoloso e difficile. Un periodo in cui bastava infilarsi un paio di scarpe e arrampicarsi su da una collina, per vedere l'orizzonte e capire quanto fosse lontanamente vicino. E non avere paura. Un periodo in cui bastava seppellire qualche oggetto in una scatola di latta, per sentirsi ricchi, per credere di aver lasciato un segno, uno qualunque, di sè.
Il mio è un paese piccolo e mite, come un vecchio seduto sulla panchina a prendere il sole. Non ci sono molte cose, qui: un supermercato, qualche negozio, le scuole e alcune chiese, un parco naturale e un campo sportivo. Il resto è campi e vigne e boschi e stradine che si riempono di violette, in primavera. Il torrente Belbo (di pavesiana memoria) lo attraversa pigramente e nessuno ci fa caso, se non quando decide di alzarsi un pò e alluvionare qualche campo arato. Incisa Scapaccino (provincia di Asti) è diviso in borghi: quando ero molto piccola i miei avevano casa in Borgo Madonna, mentre da una ventina d'anni risiedono al Borgo Villa. Di origini romane, troviamo la prima testimonianza scritta sul paese  nel 984. Dopo varie infeudazioni ad altre famiglie, nel 1708 l'intero territorio incisiano fu annesso ai domini dei Savoia. Nel 1863 Incisa divenne Incisa Belbo, per poi cambiare nuovamente il nome nel 1928, quando il paese prese l'attuale denominazione in ricordo di Giovanni Battista Scapaccino, carabiniere, prima medaglia d'oro dell'esercito italiano. Il Borgo Villa, che fu sede del Marchesato di Incisa, è considerato il centro storico del paese, e presenta ancora diversi monumenti medievali, come il castello, la chiesa di San Giovanni Battista, la chiesa del Carmine e la Porta di Valcalzara. Per raggiungerlo da casa dei miei, è sufficiente arrampicarsi su per un ripido sentiero di sanpietrini, che una volta era fatto di pietre romane, nelle quali si trovavano conchiglie e fossili. Al culmine della stradina si finisce in una bella piazzetta in cima alla collina, sulla quale è adagiata la chiesa di San Giovanni Battista, ormai (purtroppo) prossima al crollo. Ma un tempo funzionava: due dei miei zii si sono sposati qui. Procedento poi per la stretta via che si snoda sulla destra si arriva al castello, oggi proprietà privata, con il suo grande parco. Questo era il mio regno quando ero piccola. In compagnia del mio cane (che si chiamava Bobbi perchè in quel periodo mia mamma guardava Dallas), ci intrufolavamo sempre nel parco, passando da un buco nella rete metallica e trascorrevamo ore ad esplorarne ogni angolo, a guardare alberi e cespugli, a far finta che fosse tutto nostro. Il mio albero preferito si chiamava Excalibur ed era un grosso ippocastano dal tronco bianco, che abbracciavo ogni volta e al quale mi appoggiavo con la schiena, seduta nell'erba, aspettando che il tempo passasse senza fare nulla. Ora Bobbi non c'è più: se n'è andato da tanti anni, così come era arrivato, fermandosi a vivere da noi nel mezzo del cammino della sua vita. Ed excalibur non è più così alto e grande e bianco come era allora. Tutto cambia. Io, lui, il cielo.
Il castello d’Incisa è di origine piuttosto antica e fu sede dei marchesi di Incisa, signori molto potenti, i quali hanno avuto una parte di tutto rilievo nella storia della zona. Proprio per questo motivo, la fortificazione, nel corso dei secoli, fu al centro di numerosi episodi bellici. Secondo alcune fonti, l’origine del castello di Incisa risale probabilmente al XI secolo, anche se, notizie certe si hanno soltanto nel 1161, quando viene acquistato da Alberto di Bonifacio Del Vasto, che ne acquisì il titolo marchionale. Incisa fu capo di un potente marchesato, i cui confini rimasero immutati per numerosi secoli. Il castello andò in rovina durante le aspre guerre di successione del Monferrato, la fortificazione venne occupata sette volte tra il 1613 e il 1657, dai vari contendenti. Detto questo penserete: bello. Peccato che il castello che vediamo oggi non è quello di cui ho appena parlato. Di esso infatti rimane soltanto un triste e abbandonato moncone, nascosto all'interno del parco, praticamente non visitabile. Ma io l'ho visto. Andrò in prigione per violazione di proprietà privata, ma io a dodici anni avevo scoperto quei resti e mi ero informata, imparando che non sempre quello che si vede è reale: il castello che vediamo nelle foto è semplicemente una ricca costruzione antica, ma non una vera e propria fortezza medievale.
Tra le vie del Borgo Villa c'è una quiete incredibile: è difficile incontrare qualcuno e i pochi rumori che si sentono provengono dall'interno delle case, come se tutti gli abitanti fossero nascosti per bene a preservare il silenzio. Ma una volta all'anno esplode la festa: il 2° Sabato di Luglio, durante la manifestazione "Incisa 1514" si svolge la rievocazione storica della battaglia tra il Marchese Oddone d'Incisa e Guglielmo IX Marchese del Monferrato. Il Borgo si riempe di vita, viene travestito con i costumi dell'epoca e le bancarelle vendono cibi e bevande antiche. Durante la festa molti figuranti ripropongono le vicende dell'assedio, urla, canti e scoppi di armi da fuoco animano il borgo silenzioso. Adoro questa manifestazione, anche se è una cosa che noi incisiani ci siamo inventati da pochi anni. Ma mi piace perchè ravviva quello che per me è un posto pieno di ricordi e vederlo così allegro e ricolmo di vita, è qualcosa che scalda il cuore.
Questo sabato, in occasione di una visita ai miei genitori, sono salita di nuovo su per il ripido sentiero fino alla porta del castello ed ho fatto queste foto per voi. Per potervi raccontare, oltre a quella che sono ora (attraverso gli angoli di Torino che vi ho proposto), anche quella che ero e che, forse, sarò sempre.

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