4 aprile 2012

Bivi

Mi son trovata ad un bivio, ed è stata colpa mia.
Essendo io fondamentalmente ignorante in materia di teconologia ed avendo io imparato a fare tutto quello che so più o meno fare con il computer da sola, ho commesso qualche errore.
Ho caricato fotografie mastodontiche su questo blog, come se non ci fosse un domani. Poi ad un certo punto mi è stato fatto notare che no: lo spazio è finito. Ora, avevo davanti a me due scelte. La prima era quella di mettermi a modificare ogni singola immagine inserita qui, riducendo la risoluzione. Un lavoro enorme, ma che dico enorme, GIGANTE. La seconda soluzione, caldeggiatami da un amico, era quella di ricominciare da zero. Ho deciso per la busta numero due. Questo per dirvi che quello che leggete qui rimarrà qui. Non penso di smantellare questo blog se non sarò costretta a farlo. Ma da ora in poi sarà altrove che vi racconterò le mie storie. E se vi andasse di ascoltarle, sarei ben lieta di accogliervi "A Kasa di Katia".

Mandatemi una e-mail all'indirizzo: katiaostanel@yahoo.it
Vi risponderò mandandovi il link per il mio nuovo blog.


Grazie a tutti.

3 aprile 2012

Camminare intorno ad un lago ed inciampare nella storia

A volte si ha voglia di scappare un pò. Lasciarsi alle spalle il traffico, le code, la gente che corre e rincorre oggetti, persone, appuntamenti. Dimenticare la lunga lista di cose da fare, far finta che niente sia urgente e tutto possa aspettare. A volte si ha voglia di fuggire. E quando, per tanti motivi, non si può andare molto lontano, per fortuna a due passi ci sono posti così. Posti come i Laghi di Avigliana.


Il complesso dei Laghi si costituisce di due specchi d'acqua, chiamati Lago Piccolo e Lago Grande e sono di origine morenica: si sono cioè formati tanto tanto tempo fa per l'accumulo di acque provenienti dallo scioglimento di alcuni ghiacciai e dalla pioggia. Il Lago Grande, un tempo chiamato "Lago della Madonna", ha una profondità massima di 26 metri e un'estensione di circa 90 ettari. La zona paludosa circostante ed i laghi stessi costituiscono il Parco naturale dei Laghi di Avigliana, che ospita numerose specie di uccelli tra cui aironi cenerini, germani reali e gallinelle d'acqua.


Intorno al Lago Grande è stata costruita una passerella pedonale che facilita il giro  dello specchio d'acqua, anche se per un breve tratto è necessario camminare sulla strada statale; c'è un'area pic nic e moltissimi percorsi per mountain bike. Mentre si cammina non è difficile incontrare gli animali che vivono qui, comprese alcune tartarughine e verdi ranocchie saltellanti. E anche qualche gatto, indifferente ai germani che gli sfilano davanti belli grassetti...Saranno abituati a convivere! E' un ambiente piuttosto grezzo, forse leggermente trascurato e lasciato a se stesso, ma comunque bello, ottimo per una tranquilla passeggiata in mezzo alla natura. La vista è splendida: si vedono le montagne e la Sacra di San Michele (che presto visiterò). Mi viene però da pensare che se questi laghi fossero collocati in un'altra zona, forse sarebbero più considerati. Troppo spesso mi rendo conto che la mia Regione ha difficoltà a valorizzare le meraviglie che possiede e che se questo parco si trovasse (per parlare di posti che conosco) in Alto Adige, tutto sarebbe più curato e godibile.



All'interno del Parco naturale vi è inoltre una struttura di interesse storico: l'Ex Dinamitificio Nobel, in cui troviamo un museo dove, oltre a pannelli esplicativi e audiovisivi che ci illustrano le varie fasi della lavorazione degli esplosivi, è possibile visitare il rifugio anti aereo riservato alle maestranze ed i vari cunicoli e le camere di scoppio. Sono inoltre presenti alcune simulazioni sonore che ci fanno comprendere le difficili condizioni lavorative degli operai dell'epoca. L'Ex Dinamitificio Nobel ha una storia antica. L'industria della dinamite in Italia ha origine nel 1872 proprio ad Avigliana. Fu lo stesso Alfred Nobel (si, quello del premio), in collaborazione con Ascanio Sobrero, a decidere l'apertura della fabbrica, che entrò in funzione appena un anno più tardi. Fu scelta la zona detta "Trucco di San Martino" per la sua conformazione, poichè le collinette potevano proteggere l'abitato dagli scoppi e per la vicinanza con la rete ferroviaria. Il dinamitificio raggiunse il suo massimo sviluppo nel periodo della prima guerra mondiale, per soddisfare le esigenze belliche. Per dire che si, qui si facevano bombe. Anche. Dopo un periodo di crollo dell'occupazione, il secondo conflitto mondiale fece tornare la fabbrica a pieno regime, ma dovette sopportare vari incidenti e attacchi da parte dei partigiani, che volevano procurarsi le armi per la resistenza. Il complesso fu bombardato dall'aviazione americana nel 1945 e dopo la fine del conflitto il lavoro andò gradatamente diminuendo, fino alla sua definitiva chiusura nel 1965.
Ma la cosa che più mi ha colpito di questa immensa cicatrice della storia, è stato apprendere che qui aveva lavorato Primo Levi, in qualità di chimico. Me lo sono immaginato. Era tornato da Auschwitz. Era triste, magro, tormentato. Lo vedo quasi: faceva il suo lavoro, timbrava il cartellino, forse credeva che prima o poi tutto sarebbe stato più semplice. Che un giorno avrebbe ricominciato, semplicemente, a vivere. Nel periodo in cui lavorò qui e nella fabbrica di vernici di Settimo uscirono i suoi libri. Conobbe una ragazza, si sposarono. Ma poi... Ecco, mi è preso un groppo in gola. Soprattutto nel pensare che una persona come lui, maledettamente modificata dalla guerra, fosse poi finita a lavorare in una fabbrica in cui, durante quella stessa guerra,  si fabbricavano armi. Quando si dice i casi strani della vita, i surreali incroci del cammino degli uomini. Allora per non mettermi a piangere mi sono voltata. Ho visto il lago. Ho pensato che anche lui, la mattina e la sera, quando entrava e usciva dalla fabbrica, lo guardava. Ho pensato all'uomo Primo, al suo cuore, incantato come il mio da quel placido, rassicurante specchio d'acqua e di cielo. E allora ho sorriso. Perchè ognuno di noi, in un modo o nell'altro, trova sempre la sua personalissima pace.


1 aprile 2012

Cavalli, fontane e giardini con sottofondo di violini


A Torino di piazze ce ne sono tante. Ci sono quelle maestose del centro e quelle piccole e defilate, che sconfinano nella definizione di "largo", anche se di largo hanno ben poco. Ci sono le piazze frequentatissime, ricolme di tavolini e sedie che d'estate spuntano come se fossero fili d'erba. E ci sono le piazze innegabilmente belle, ma che per qualche motivo restano sempre un pò dimenticate, come Piazza Bodoni. Se la maggior parte dei torinesi nel sentirla nominare pensa al grande parcheggio sotterraneo che vi hanno costruito, io per prima cosa penso al Conservatorio Giuseppe Verdi e alla musica che ne fuoriesce ogni volta che vi passo accanto. Sedersi su una delle panchine che seguono la circonferenza ovoidale della piazza, nel primo sole mattutino, all'ombra del monumento equestre del Generale Alfonso La Marmora, con un suono di violino in sottofondo, è un'esperienza impagabile.  Il Conservatorio non è sempre stato qui. La sua storia si srotola nell'arco di un secolo. Quando, nel 1820, chiuse la piccola scuola gratuita di canto inaugurata dall'Accademia Filarmonica, il Teatro Regio si rese conto della necessità di avere coristi e orchestrali di alto livello. Venne così creato un liceo musicale civico che nel corso degli anni subì vari spostamenti di sede e migliorie nella preparazione degli allievi. Fino a giungere, nel 1925, alla attuale sede in Piazza Bodoni, dove vengono istruiti più di settecento allievi, con un corpo docente di circa centrotrenta insegnanti e con una delle biblioteche musicali più importanti d'Italia, in cui trovano rifugio più di centomila partiture. E' qualcosa di importante, insomma, concreto e rilevante, e sarà per questo che spesso Piazza Bodoni viene comunemente chiamata "Piazza del Conservatorio".

Non solo la piazza, ma le vie limitrofe sono degne di quattro passi con il naso per aria ed anche, perchè no, alle vetrine: via Giolitti, Cavour, Mazzini, Andrea Doria, sono tutte strade di livello economico medio alto e negli ultimi anni, complice anche un attento lavoro di pedonalizzazione, sono spuntati negozi e botteghe adatte a persone benestanti ed il quartiere è diventato di stampo decisamente residenziale. Ma ciò non toglie che proprio laddove la gente ha più soldi da spendere, regni maggior quiete per i comuni mortali che desiderano soltanto camminare un pò in città. Non so esattamente in base a quale principio, ma accade. E così cammina cammina si può arrivare anche alla graziosissima piazza Carlo Emanuele II. Ora, chiedere ad un torinese dove sia esattamente ubicata la suddetta piazza vuol dire vederlo incerto, confuso e titubante. E' provato che la maggior parte degli abitanti della città, me compresa, non sa rispondere. Ma se chiedi dove si trova Piazza Carlina, allora si: non ci sono dubbi. Che poi è la stessa piazza e venne soprannominata così per canzonare i modi un pò effeminati del sig. Carlo Emanuele. Dicono. E proprio a Carlo Emanuele II ebbe l'idea di far allestire la piazza per celebrale il suo potere sovrano: un monumento equestre raffigurante se stesso al centro di uno spazio quadrangolare circondato da facciate allineate. Ma in realtà quello che vediamo in groppa al suo destriero è Camillo Benso Conte di Cavour. Non chiedetemi perchè, non sono ancora riuscita a scoprirlo.

Comunque, sul lato a sud sorge la Chiesa di Santa Croce, edificata dal celeberrimo Juvarra (che tanto lavoro ha svolto nella capitale sabauda), con una facciata tardo ottocentesca ed una cupola orientaleggiante. Degni di nota sono anche il Palazzo Roero di Guarente (la cui facciata è sempre di Juvarra) e l'Ex Collegio delle Provincie, oggi Caserma dei Carabinieri. Ma, soprattutto, la casa al numero 15. Quello che ne resta, almeno, dato che ultimamente la struttura ha subito qualche crollo in seguito a non ben definiti lavori di riqualificazione da parte di un'impresa che vorrebbe farne un albergo di lusso. La casa è quella in cui, tra il 1919 e il 1921 visse Antonio Gramsci.
Ora, dopo esserci trastullati un pò tra vetrine e monumenti, andiamoci a sedere in mezzo ad un pò di verde e per farlo scegliamo i bellissimi Giardini Cavour e l'Aiuola Balbo. I Giardini Cavour, detti delle "Montagnole", si trovano nell'area che un tempo era occupata dal "Giardino dei Ripari", antico sito dei bastioni della città. I bastioni però non consentivano lo sviluppo del verde urbano, così, all'inizio dell'800, Napoleone decise di farli abbattere e far costruire i primi filari alberati e alcuni grandi parchi, tra cui, appunto i nostri Giardini Cavour, che ospitano esemplari centenari di platano, quercia e faggio. L'Aiuola Balbo, realizzata nel 1874, ha uno schema geometrico e al centro troneggia un'ampia fontana. Al suo interno possiamo poi vedere monumenti a Daniele Manin, Cesare Balbo e altri personaggi storici.

Ad ogni passo, si inciampa nella storia, qui a Torino. E tante volte storia è sinonimo di bellezza, anche nelle cose più piccole, come questi giardini che di certo non hanno la fama di altri parchi cittadini, ma che sono le gemme preziose di un ricco diadema.  Ed è stato bello trovare nel mio archivio un'altra foto della fontana dell'Aiuola Balbo presa quasi dalla stessa angolazione, ma in due stagioni differenti. A testimonianza che il tempo passa, il Mondo fa il suo giro, ma quella dama di pietra resta lì, con il braccio sollevato, in un eterno, immobile gesto.